venerdì 3 maggio 2013

Malattie sessualmente trasmissibili

In medicina, una malattia venerea (o Malattia sessualmente trasmissibile - nota anche con l'acronimo MST) è una malattia infettiva che si trasmette o diffonde principalmente per contagio diretto in occasione di attività sessuali.

Oggi è noto che queste patologie sono in genere causate dalla trasmissione di batteri, virus, parassiti o funghi che passano da un corpo all'altro attraverso il contatto della pelle (o delle mucose genitali) o con liquidi organici infetti (in alcune malattie anche la saliva).
Sebbene la via di contagio sia eminentemente sessuale, talvolta vengono colpiti anche altri organi oltre a quelli genitali e si può arrivare alla morte dell'individuo colpito, o a lesioni permanenti. Inoltre, purtroppo, si possono trasmettere anche dalla madre al feto, durante la gravidanza, o dalla madre al neonato con l'allattamento.

Oggi si presta maggiore attenzione all'informazione su queste problematiche, ed è più facile dotarsi dei mezzi meccanici di prevenzione (ad esempio il profilattico), e si opera per combattere le cause di ostacolo alla prevenzione e alla cura anche in termini di psicologia (sull'individuo affetto), o di morale generale, nell'intento di abbattere il pregiudizio e avvicinare con maggiore naturalezza il paziente al medico e arginare l'ulteriore espansione della patologia.


Malattie sessualmente trasmissibili

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  1. Balanite
  2. Vaginite Da Candida
  3. Candidosi
  4. Epatite B
  5. Epatite C
  6. Gonorrea
  7. Herpes genitale
  8. Infezioni da clamidia
  9. Sifilide
  10. Tabe dorsale
  11. Trichomoniasi vaginale
  12. Virus del papilloma umano
  13. Mollusco contagioso
  14. Condiloma acuminato

giovedì 2 maggio 2013

Infezioni da Condiloma acuminato

Il condiloma acuminato (o verruca genitale, verruca venerea, verruca anale e verruca anogenitale) è una malattia altamente contagiosa a trasmissione sessuale causata da alcuni sottotipi di Papillomavirus umano (HPV). Si sviluppa attraverso il contatto diretto cute-cute durante il sesso orale, genitale, o anale con un partner infetto. Le verruche sono il segno più facilmente riconoscibile dell'infezione genitale da HPV. I tipi 6 e 11 di HPV sono responsabili del 90% dei casi di condilomi genitali. Fra coloro che vengono infettati dal HPV genitale si stima che solo una "piccola percentuale" (tra l'1% e il 5%) sviluppi le verruche genitali. Tutti gli infetti sono invece in grado di trasmettere il virus.
Altri tipi di HPV sono in grado di causare il cancro cervicale e, probabilmente, diversi tipi di cancro anale. Tuttavia è importante sottolineare che i vari tipi di HPV che causano la stragrande maggioranza dei condilomi genitali non sono gli stessi che possono aumentare il rischio di cancro genitale o anale. Alcuni studi hanno verificato che la prevalenza dell'HPV in un dato momento può raggiungere il 27% di tutte le persone sessualmente attive, e sale al 45% nella fascia di età tra i 14 ei 19 anni.

Sintomi

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Le verruche genitali spesso compaiono a grappoli e possono essere molto piccole o possono diffondersi in grandi masse nella regione genitale o sul pene. In altri casi appaiono come steli di piccole dimensioni. Nelle donne si localizzano sui genitali esterni e all'interno della vagina, sulla apertura (cervice) dell'utero, intorno o dentro l'ano . La prevalenza è simile a quella che si ha nel sesso maschile, ma i sintomi possono essere meno evidenti. Quando sono presenti, di solito si vedono molto bene sul glande (la punta del pene). Possono comunque localizzarsi anche sul corpo del pene, sullo scroto, e intorno o dentro l'ano. Raramente, le verruche genitali possono svilupparsi in bocca o nella gola dei soggetti che hanno praticato sesso orale con una partner infetto.
Le particelle virali sono in grado di penetrare attraverso la pelle e le mucose tramite abrasioni microscopiche nella zona genitale, che si verificano durante l'attività sessuale. Una volta che le cellule sono invase da HPV, può verificarsi un periodo di latenza (silente) di mesi o anni, totalmente asintomatico. HPV permane nell'organismo per diversi anni senza dare alcun segno di sé. Copulare con un partner affetto da una infezione latente da HPV e che non dimostra alcuna manifestazione esteriore espone comunque al rischio di contagio. Se un soggetto ha rapporti sessuali non protetti con un partner infetto, c'è una probabilità del 70% che ne venga infettato. Il sistema immunitario cerca di eliminare il virus attivando il sistema delle interleuchine, che reclutano nel processo gli interferoni, i quali rallentano ed inibiscono la replicazione virale.

Trattamento

Non esiste una cura specifica per HPV. Esistono invece metodi per curare le verruche visibili, che vengono trattate per ridurre l'infettività del paziente, anche se non esistono prove di riduzione certa della trasmissione del virus una volta che le verruche siano state rimosse. Le verruche dei genitali possono scomparire anche senza trattamento, ma a volte possono dare luogo a piccoli rilievi di aspetto carnoso. Non c'è modo di prevedere se la verruca si svilupperà o scomparirà. Le verruche a volte possono essere identificate perché si mostrano con un aspetto biancastro che fa seguito all'applicazione di acido acetico. Questo metodo non è tuttavia raccomandato sulla vulva perché sia i microtraumi che zone di infiammazione possono dare luogo al medesimo aspetto, talvolta definito come acetowhite. Sia una lente di ingrandimento che il ricorso alla colposcopia possono essere utilizzati come metodi per aiutare ad identificare piccole verruche. A seconda delle dimensioni, localizzazione ed altri aspetti si consiglia uno specifica strategia di trattamento. Podofilox è il trattamento di prima linea grazie al suo basso costo. Quasi tutti i trattamenti possono potenzialmente causare depigmentazione o cicatrici.



Mollusco contagioso

Il mollusco contagioso è un'infezione virale che causa lesioni papulose della pelle o, occasionalmente, alle mucose. Detto anche, in latino, molluscum contagiosum, traducibile come morbido e contagioso.
È una malattia che colpisce molto più spesso i bambini fino ai 10-12 anni.Il molluscum contagiosum virus (MCV) appartiene alla famiglia Poxviridae, sottofamiglia Chordopoxvirinae, genere Molluscipoxvirus. Il termine pox contenuto nel nome di questi virus, deriva dalle vescicole (in inglese: poxes) prodotte dal virus del vaiolo (smallpox).


Sintomi

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La malattia si manife­sta con papule (lesioni cupoliformi), con un leggero incavo al centro detto “ombelicatura”, che possono essere da un paio fino ad un centinaio e possono situarsi in ogni parte del corpo salvo che sulla pianta dei piedi e sul palmo delle mani. In genere il contagio si può contrarre toccando una parte di una persona che ne è colpita o, per esempio, attraverso asciugamani, accappatoi, equipaggiamenti ginnici condivisi tra più persone.

Trattamento

Il trattamento varia, a seconda del caso bambino/adulto e del numero delle lesioni. Se le papule sono poche si possono asportare in anestesia locale mediante cucchiaio tagliente (curette). Si usano anche disinfettanti allo iodio, oppure si procede alla distruzione delle papule mediante toccature con acidi, oppure anche con altri me­todi come il congelamento e la bruciatura, ma non sui bambini, in quanto pratiche dolorose. Vi sono anche altri trattamenti con farmaci alternativi, per esempio lo ZymaDerm, oppure con farmaci usati normalmente per l’acne come la tretinoina o l'isotretinoina; un altro approccio nuovo è quello di applicare direttamente sulle lesioni farmaci antivirali quali il cidofovir o l’imiquimod. Le pa­pule possono anche scomparire da sole nel giro di 6 mesi-un an­no, ma se molto grosse e infiam­mate possono lasciare cicatrici. Trattandosi di una malattia infet­tiva e virale che si trasmette da uo­mo a uomo, è richiesta la massima prudenza da parte di chi è affetto dalla malattia, al fine di diminuire il pericolo di contagio di terze persone. Il riconoscimento preco­ce è di grande importanza sia per il trattamento sia per il conteni­mento del contagio verso gli altri. Spesso si osserva un ri­tardo nella diagnosi e nella cura, dovuto al fatto che le lesioni solitamente non sono né dolorose né pruriginose, e quindi, a prescindere dall'aspetto estetico, non causano disturbo.

Infezioni da clamidia

Con il termine infezioni da clamidia si indicano una varietà di patologie causate nell'uomo da un batterio gram-negativo, Chlamydia trachomatis. Si tratta di infezioni trasmesse per via sessuale, fra loro il linfogranuloma venereo, la malattia infiammatoria pelvica e il tracoma.
La trasmissione avviene per contagio interumano, sia per via sessuale che nel parto.





Sintomi

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Le infezioni sessuali, nelle donne, risultano asintomatiche nel 75% dei casi mentre negli altri casi si comporta come una sindrome essudativa, con uretrite nel maschio e cervicite nella donna. In una seconda fase l'infezione può estendersi al tratto genitale.
I sintomi possono risultare comunque difficili da individuare (es. nicturia saltuaria, sensazione di tensione nella regione perineale o prurito sui genitali), fino a quando non si manifestano casi evidenti di uretriti o prostatiti. Nella donna si può arrivare anche a salpingite e malattia pelvica infiammatoria, con conseguenze anche gravi quali infertilità, poliabortività o gravidanza ectopica.
L'infezione neonatale, contratta durante il passaggio del feto nel canale del parto infetto, insorge con una frequenza del 30-40%. Fino alla metà dei neonati infetti presenta segni di patologia oculare (congiuntivite purulenta) e circa il 10-20% sviluppa una grave pneumopatia interstiziale infantile.

Diagnosi


La diagnosi delle infezioni da clamidie non può prescindere dall'apporto del laboratorio, poiché l'anamnesi e l'esame obiettivo non sono sufficienti per la diagnosi eziologica. L'indagine microbiologica si avvale principalmente della ricerca delle clamidie nel materiale patologico (diagnosi diretta). A questo riguardo, di fondamentale importanza è la corretta raccolta dei campioni da sottoporre a indagine al fine di acquisire risultati affidabili. Occorre evidenziare che l'indagine sulla donna deve essere condotta sia mediante tampone cervicale che mediante tampone uretrale, esame quest'ultimo che non sempre viene prescritto, col rischio di false negatività. La Clamidia, infatti, può annidarsi anche solo all'interno dell'uretra femminile. Gli esami di laboratorio possono richiedere tempi lunghi per una risposta (3-7 giorni), e si può ricorrere all'immunofluorescenza diretta, con la quale si ricercano antigeni proteici di membrana dei corpi elementari direttamente nel campione, tramite anticorpi monoclonali marcati con fluoresceina. Il campione viene esaminato al microscopio a fluorescenza e il risultato si ottiene in meno di un'ora. Altre tecniche diagnostiche dirette: colturali, immuno-enzimatiche (ELISA), biologia molecolare.
ELISA, sia diretta, con la ricerca dell'antigene lipopolisaccaridico nelle urine (LPS), che indiretta.

Terapia


Si somministrano antibiotici come tetraciclina, doxiciclina ed eritromicina o le più recenti azitromicina e ofloxacina. La doxiciclina è efficace con cicli di 15-21 giorni (200 mg/giorno), intervallati da altrettanti giorni di riposo. A causa delle possibili resistenze all'antibiotico, che hanno cominciato di recente a riscontrarsi, si possono rendere necessari più cicli di terapia. Da recentissimi studi, pubblicati su PubMed, molto efficace risulta essere la prulifloxacina, antibiotico appartenente alla famiglia dei chinolonici di ultima generazione. La somministrazione deve avvenire con due cicli da 15 giorni intervallati da 15 giorni senza terapia.
Durante la terapia si sconsiglia l'assunzione di latticini, in quanto assorbono e depotenziano l'antibiotico. Inoltre l'uso prolungato di antibiotici può determinare l'insorgenza di candida intestinale, per cui può essere opportuno assumere contestualmente un antimicotico per attenuare i rischi. Durante la terapia, in ogni caso, devono essere evitati rapporti sessuali non protetti, anche se entrambi i soggetti sono in terapia, per evitare di renderla inefficace per reinfezione continua. Se si sono avuti rapporti orogenitali, deve essere data per scontata la possibilie localizzazione del germe a livello faringeo e quindi devono essere evitati contatti bocca-bocca e bocca-genitali per tutta la durata della terapia.


Tabe dorsale

La tabe dorsale è una mielo-meningoradicolite che interessa i cordoni posteriori del midollo spinale, manifestazione dell'infezione da sifilide.È la più grave manifestazione della sifilide terziaria e colpisce uomini con più frequenza rispetto alle donne.È causata dal batterio treponema pallidum, e si presenta dopo un intervallo di 5-15 anni (con casi che arrivano a 35 anni) dall'infezione primaria, a seguito di una riattivazione dell'agente eziologico. La risposta immunitaria produce lesioni infiammatorie che si sviluppano nei nervi radicolari (nevrite radicolare trasversa) con distruzione progressiva delle radici posteriori e sclerosi dei cordoni posteriori.


Sintomi

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La sintomatologia risulta variabile, per lo più si osservano gravi disturbi della coordinazione dei movimenti generalizzati oppure circoscritti agli arti inferiori e al tronco, più raramente ai soli arti superiori, alla lingua, alla faccia, secondo la localizzazione e l’estensione del processo.
Frequente una particolare forma di dissociazione sensitiva (dissociazione tabetica) in cui diminuisce o scompare la sensibilità profonda o tattile ma restano quelle termica e dolorifica. Si può osservare l'assenza dei riflessi.
Si osservano anche parestesie, dolori ad accessi e crisi viscerali gastriche, laringee, cardiache, intestinali, diaframmatiche ed epatiche.
Spesso si osservano artropatie del ginocchio e dell’anca, osteite rarefacente, male perforante plantare, paralisi e paresi, soprattutto dei nervi oculomotori e della laringe, atrofia ottica e rigidità pupillare (segno di Argyll-Robertson: scomparsa del riflesso pupillare alla luce, con persistenza di quello dell’accomodazione) e arteriopatie obliteranti con sede elettiva agli arti inferiori.
Si osserva anche mancanza di controllo degli sfinteri e atassia.

Terapia

La terapia attuale è penicillina per 10-14 giorni oppure benzilpenicillina. La terapia antibiotica arresta il decorso della malattia ma non è in grado di ripristinare le funzionalità lese.

Epatite C

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L'epatite C è una malattia infettiva, causata dall'Hepatitis C virus (HCV), che colpisce in primo luogo il fegato (epatite). L'infezione è spesso asintomatica, ma la sua cronicizzazione può condurre alla cicatrizzazione del fegato e, infine, alla cirrosi, che risulta generalmente evidente dopo molti anni. In alcuni casi, la cirrosi epatica potrà portare a sviluppare insufficienza epatica, cancro del fegato, varici esofagee e gastriche.

L'HCV è trasmesso principalmente per contatto diretto con il sangue infetto, spesso dovuto all'uso di droghe per via endovenosa, a presidi medici non sterilizzati e trasfusioni di sangue. Si stima che circa 130-170 milioni di persone al mondo siano infettate dal virus dell'epatite C. L'esistenza dell'epatite C, in origine definita "epatite non A non B", è stata ipotizzata nel 1970 e confermata nel 1989.
Il virus persiste nel fegato di circa l'85% delle persone infette. Questa infezione persistente può essere trattata con i farmaci interferone e ribavirina, che rappresentano la terapia di riferimento. Complessivamente il 50-80% dei pazienti trattati guarisce, mentre coloro che sviluppano cirrosi o cancro possono necessitare di un trapianto di fegato. Al 2012 nessun vaccino efficace contro l'epatite C è ancora disponibile.

Diagnosi

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Vi sono una serie di test diagnostici per l'epatite C, tra cui: il test ELISA, il test Western blot e la verifica della presenza di RNA virale tramite reazione a catena della polimerasi (PCR) L'RNA del virus può essere rilevato tramite PCR tipicamente da una a due settimane dopo l'infezione, mentre la formazione degli anticorpi può richiedere più tempo e quindi inizialmente possono non essere rilevati.
L'epatite C cronica è definita come l'infezione da virus dell'epatite C, individuato in base alla presenza del suo RNA, persistente per più di sei mesi. Le infezioni croniche sono in genere asintomatiche durante i primi decenni e quindi vengono più frequentemente scoperte in seguito ad indagini effettuate dopo una rilevazione di elevati livelli di enzimi epatici o nel corso di un'indagine di screening in individui ad alto rischio. Il test non è in grado di distinguere tra infezioni acute e croniche.

Trattamento farmacologico


In generale, il trattamento farmacologico è consigliato nei pazienti con alterazioni epatiche provocate dal virus. Il trattamento di riferimento è una combinazione di interferone alfa pegilato e ribavirina, da assumersi per un periodo di 24 o 48 settimane, a seconda del genotipo del virus HCV. Si è osservato che questa terapia porta a miglioramenti nel 50-60% dei casi.
Per il genotipo 1 ed il genotipo 4, considerati meno sensibili all'interferone, un ruolo importante nella risposta alla terapia è giocato dalla carica virale nel sangue prima dell'inizio della cura.
Nel corso del 2011, sono stati approvati due nuovi farmaci antivirali, il boceprevir e il telaprevir, che andranno ad affiancare l'interferone e la ribavirina contro i genotipi più difficili da trattare, in particolar modo il genotipo 1, portando il tasso di guarigione dal 40% al 70%. Gli effetti collaterali del trattamento sono frequenti, con la metà dei pazienti che avverte sintomi di tipo influenzali e con un terzo che presenta problemi emotivi. Il trattamento che avviene durante i primi sei mesi risulta più efficace rispetto a quando l'epatite C diventa cronica.
Nei pazienti affetti da talassemia, la ribavirina sembra essere utile, ma aumenta la necessità di trasfusioni.
Diverse terapie alternative sono rivendicate dai loro fautori per essere utili per l'epatite C, come l'utilizzo di cardo mariano, ginseng o argento colloidale. Tuttavia, nessuna terapia alternativa ha dimostrato di migliorare i risultati per il trattamento dell'epatite C e non esiste alcuna prova che queste terapie abbiano alcun effetto sul virus.