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Analizzando il sangue di un sopravvissuto all'epidemia di Ebola di 1995, Davide Corti dell'Università della Svizzera italiana a Bellinzona, e colleghi, ha scoperto che erano ancora presenti diversi tipi di anticorpi anti-Ebola, dimostrando che il sistema immunitario conservava ancora memoria del virus. Tre di questi anticorpi monoclonali hanno dimostrato una capacità di legarsi al virus del 25 per cento superiore a quella del cocktali di anticorpi monoclonali ZMapp, ottenuto da topi immunizzati, che attualmente è in corso di sperimentazione su esseri umani.
I ricercatori si sono quindi concentrati sui due anticorpi più potenti, mAb100 e mAb114, somministrandoli a un gruppo di macachi che il giorno precedente erano stati infettati con Ebola. Nessuno degli animali ha mostrato segni di sviluppo della malattia. In test successivi hanno somministrato il solo anticorpo mAb114 cinque giorni dopo l'infezione, ottenendo risultati simili. Ciò suggerisce, scrivono i ricercatori, che questo anticorpo potrebbe essere usato per curare chi si trova anche in fasi relativamente avanzate della malattia.
Sulla scorta di questi risultati, i ricercatori hanno studiato la struttura dei due anticorpi monoclonali, illustrata in un articolo a prima firma John Misasi, del National Institutes of Health a Bethesda.
Hanno così scoperto che entrambi gli anticorpi colpiscono una glicoproteina che si trova sulla superficie del
virus di Ebola e che ha un ruolo di primo piano nella capacità del virus di legarsi alla membrana delle cellule ospiti. Il primo anticorpo, mAb100 si lega alla base della glicoproteina, come altri anticorpi attualmente allo studio, ma invece di potersi legare in un solo punto, può farlo in tre punti distinti, il che lo rende potenzialmente più efficace. Ancora più efficace si è però mostrato il secondo anticorpo, mAb114, che si lega e blocca in modo permanente un recettore del virus indispensabile al suo ingresso nella cellule ospite.
In prospettiva, il ricorso a mAb114, da solo o in combinazione con mAb100 - osservano Corti e colleghi - potrebbe rappresentare una terapia altrettanto o addirittura più efficace dei cocktail attualmente allo studio, con il vantaggio di essere più semplice e quindi meno costoso.
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